Chiunque cerchi di avere successo sui social e sui motori di ricerca ha imparato che dietro le loro probabilità di farcela o meno si nasconde un’insidia che è data dalla volontà dell’algoritmo della piattaforma in questione. Che cos’è un algoritmo? Nel caso di parli di social e di motori di ricerca, si tratta dell’intelligenza artificiale che sta alla base del loro funzionamento e decide in poche parole chi vede cosa.
Sui motori di ricerca l’algoritmo interviene decidendo come posizionare le pagine (o i video quando si tratta di Youtube). Sui social come Facebook decide cosa appare nella bacheca delle persone.
E’ naturale che chi professionalmente lavora per aiutare le realtà ad aumentare la visibilità online abbia imparato ad amare ed odiare gli algoritmi. Per vari motivi. Il primo fra tutti è che sono segreti, cioè le aziende (Google e Facebook) non hanno alcun interesse nel divulgare il loro funzionamento preciso. Ed è giusto così. Il secondo motivo di questo odio/amore sta nel fatto che per un periodo di tempo sembrano premiare una condotta, salvo poi punirla dopo poco e spesso lo fanno senza preavviso.
Ci si ritrova quindi a lavorare per reverse engineering, ossia si cerca di fare delle azioni, testare il risultato e poi aggiustarsi di conseguenza facendo così delle ipotesi più o meno fondate sul funzionamento.
Perché ho fatto questa premessa? Perché oggi voglio parlarti dell’algoritmo di Youtube e nel farlo ci tengo a sottolineare che quello che dirò in parte deriva da quanto riferito da YouTube stesso, altre cose invece sono frutto di sperimentazione.
Back in the day
Se avessimo una macchina del tempo che ci potesse portare ai primi anni di Youtube, vedremmo una piattaforma molto diversa. In primis per numero e qualità dei contenuti. Parliamo del 2006, quindi immagina quanto fossero poche le persone che postavano video. Gli smartphone non erano ancora stati inventati per dirne una. La qualità dei video era bassa, così come però anche la concorrenza e la raffinatezza dell’algoritmo.
All’epoca il modo migliore per essere posizionato e suggerito dall’algoritmo era semplicemente deciso dal numero di visualizzazioni. Se ne avevi tante, ecco che venivi premiato. Se ne avevi poche, c’erano poche speranze di farcela.
Ed ecco che scoperto questo piccolo segreto, iniziarono a spuntare servizi che vendevano views a poco prezzo. Ne compravo un tot, ed ecco la tanta bramata visibilità. Ma non cin è voluto molto prima che gli ingegneri se ne accorgessero e soprattutto capissero quale danno a lungo termine questo avrebbe provocato.
Cambio di rotta
Nel 2012 c’è stato un taglio netto a tutto ciò. Per far terminare questo circolo vizioso in cui contenuti di pessima qualità venivano premiati solo per il fatto di avere milioni di views (comprate il più delle volte) gli ingegneri hanno apportato delle modifiche sostanziali.
Da quel momento non sarebbero più state quelle a dettare le regole. Ecco introdotto il concetto di watch time e session time. Senza usare per forza inglesismi, il tempo di visualizzazione e il tempo di sessione.
Il primo rappresenta il tempo che un utente trascorre nel guardare un video. Col secondo si intende il tempo che le persone passano su Youtube. Quindi comprende anche il watch time, ma in realtà è di più visto che la stessa persona può guardare più video nella stessa sessione.
Da quel momento questo fattore è diventato chiave nel successo su Youtube. Non importa se un video ha molte visualizzazioni. Se le persone ne guardano solo pochi secondi e poi chiudono, allora ecco che il video viene penalizzato.
Inoltre, è stata data una grossa mazzata ai servizi che vendono visualizzazioni. Ora i canali che vengono scoperti a comprare visualizzazioni sono pesantemente penalizzati. In alcuni casi si può arrivare alla chiusura del canale stesso.
Le cose raccontate finora non son frutto di reverse engineering. Sono proprio linee guida rilasciate da Youtube stesso. Quindi assolutamente ufficiali.
Da 7 anni perciò la regola numero uno per avere successo su Youtube consiste nel fare in modo che le persone rimangano a guardare i nostri video per più tempo possibile. Sono stati sviluppati anche strumenti appositi per aiutare questo, come la schermata finale e le playlist.
La situazione oggi
Oggi, nonostante le cose dette nel precedente paragrafo siano ancora assolutamente vere, sembra ci sia uno spostamento verso altri due fattori. Il primo è il CTR (click through rate) mentre il secondo è il comportamento dell’utente. Vediamoli uno ad uno.
Per click through rate si intende il numero di persone che cliccano per vedere un video quando gli viene proposto. Un esempio classico è quando atterriamo sulla homepage di Youtube. Abbiamo tanti video proposti. Se ne clicchiamo uno, questo prende la visualizzazione. Gli altri hanno solo avuto un impressione, perché ci sono stati mostrati ma non abbiamo cliccato.
Una buona media si attesta attorno al 5-7%. Su ogni 100 impressioni, prendere dalle 5 alle 7 visualizzazioni è molto buono.
Vista la sempre più elevata competizione sulla piattaforma, è fondamentale fare in modo di alzare più possibile quel valore. Come? Lavorando sui due elementi che aiutano le persone a decidere se guardare il nostro video oppure no: la copertina e il titolo.
E’ fondamentale perciò pensare bene a questi aspetti e lavorarci, non dando per scontato.
Il secondo aspetto che sta prendendo sempre più piede è la tendenza dell’algoritmo di proporre argomenti che l’utente ha visto in passato, rispetto a ciò che gli potrebbe interessare in base a sto che sta guardando ora. Mi spiego con un esempio.
Diciamo che sto guardando un video su Mozart ad esempio. A fianco come saprai appariranno dei video suggeriti. Fino a poco tempo fa, l’algoritmo avrebbe proposto in quella sezione altri video sempre su Mozart, oppure brani classici tipo Beethoven o Bach.
Ora non è necessariamente più così. Se oggi stiamo guardando un video su Mozart, ma ieri abbiamo visto 10 video sulla finale di Wimbledon, è molto probabile che a fianco del video di Mozart appaiano video sul tennis.
Come mai? Non è Bach forse più rilevante che un video su Federer? In teoria sì, ma nel pratico l’algoritmo sembra proporre sempre di più cose che abbiamo già visto. Sempre per il discorso di prima, ossia tenerci sulla piattaforma.
Sembra uno scenario limitante, perché così non abbiamo tante possibilità di scoprire cose nuove, ma sembrerebbe proprio che la scelta sia quella di limitarci nei nostri gusti dandoci cose che abbiamo già visto e sulle quali è sicuro che ‘andrà a colpo sicuro’ invece che rischiare proponendoci cose nuove.
Come muoverci quindi in questo nuovo scenario? In realtà non c’è tantissimo che possiamo fare per quest’ultimo aspetto. La cosa positiva però è che se i tuoi contenuti ricadono in una categoria che diventa piacevole per una persona o gruppo di persone, i tuoi video saranno proposti continuamente ad essi invece che roba nuova.
Dove possiamo lavorare invece è sul discorso del CTR, migliorando i titoli e le miniature personalizzate. Lì hai un gran spazio di manovra e potenzialità di miglioramento. Quindi ti consiglio di non sottovalutarle e anzi di lavorarci da domani mattina se vuoi crescere seriamente su Youtube.
Non ci è dato sapere cosa succederà in futuro, ma questo è il presente. E’ chiaro comunque che la priorità sia di Youtube che di Google in generale è quella di offrire la migliore esperienza possibile alle persone che visitano i loro siti ed usufruiscono dei loro servizi. Quindi avere sempre in mente la persona finale invece che un algoritmo è la scelta migliore per prosperare e farsi amico di conseguenza qualsiasi algoritmo.